“Le baruffe chiozzotte” trionfano in scena al Teatro delle Regioni

Il pubblico entusiasta che gremiva il Chiostro del Monastero degli Olivetani ha festeggiato con lunghi applausi il cast impeccabile e affiatato del Piccolo Teatro “Città di Chioggia”

La compagnia del Piccolo Teatro "Città di Chioggia"

ROVIGO – Due coinvolgenti ore di spettacolo hanno divertito e appassionato il numeroso pubblico della XX rassegna Teatro delle Regioni. Cornice della serata è stato il suggestivo Chiostro del Monastero degli Olivetani di San Bortolo, ancora una volta tutto esaurito, dove a esibirsi, lo scorso mercoledì 7 agosto, è stato il Piccolo Teatro “Città di Chioggia” con la commedia dialettale Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni, regia di Pierluca Donin.

Nel quarto appuntamento della manifestazione estiva dedicata alle eccellenze del teatro amatoriale italiano, organizzata e promossa dal Gruppo Teatrale Il Mosaico con il sostegno del Comune di Rovigo e il contributo della Fondazione Rovigo Cultura e di RovigoBanca, nulla di meglio di una serata in compagnia delle sanguigne donne di Chioggia e dei loro uomini, protagonisti di uno dei più amati copioni goldoniani.

È lo stesso Goldoni a spiegare come il termine baruffa sia lo stesso tanto «…in linguaggio Chiozzotto, Veneziano e Toscano, significando confusione, una mischia, azzuffamento di uomini o di donne, che gridano, si battono insieme. Queste baruffe – annota Goldoni – sono comuni fra il popolo minuto, e abbondano a Chiozza più che altrove poiché di sessantamila abitanti di quel Paese ve ne sono almeno cinquantamila di estrazione povera e bassa, tutti per lo più pescatori o gente di marina».

La commedia si apre su una scena caratterizzata da uno spazio vuoto al centro del palcoscenico e solo pochi elementi scenici (e i cambi di luce) a distinguere gli ambienti. Intorno, come fondale e quinte, delle velature che suggeriscono la presenza di barche da pesca ormeggiate al molo. In primo piano, alcune sedie vuote sulle quali andranno a sedersi delle donne intente a ricamare pizzi e merletti al tombolo. Oltre ai costumi, a ricordarci che siamo nel Settecento c’è una data segnata su ogni vela: “1762”, anno in cui venne scritta e rappresentata per la prima volta la commedia.

Tutto trae origine dall’offerta di una fetta di succa “barucca” (zucca abbrustolita). Le baruffe chiozzotte nascono da un gesto di galanteria, privo di malizia perché esteso anche alle altre donne presenti. Una gentilezza che non porta niente di buono a Lucietta, a Marmottina e a tutti gli altri personaggi della storia. Ben presto il pettegolezzo è servito, mariti, fratelli e amici, tutti ne vengono coinvolti. Da una semplice disputa per gelosia tra due vivaci ragazze, Lucietta e Checca, impegnate a contendersi le attenzioni dello stesso giovane, nasce così una “baruffa” che passa ben presto dalle parole ai fatti, coinvolgendo anche gli uomini di casa. Di qui l’inevitabile e divertente sfilata di testimoni riluttanti all’ufficio della Cancelleria criminale, dove il buon Cogitore, alter-ego di Goldoni che in gioventù aveva coperto proprio quel ruolo, stringerà infine la tregua, ma solo «fin che la se rompe».

La vicenda rappresentata in due atti, come s’intuisce dalla trama, è fortemente corale, senza un o una protagonista che spicchi nettamente. Complimenti al Piccolo Teatro “Città di Chioggia” che, nel portare sul palco degli Olivetani il grande teatro dialettale d’autore, ha ben affrontato le difficoltà della commedia, basata sul perfetto concatenarsi delle battute, alcune delle quali fatte quasi “scivolare” per caso tra un intercalare e l’altro ma sempre a tono e a tempo.

Come in un’orchestra gli attori hanno lavorano in ensemble, con brevi passaggi solisti per ognuno. Bravi, veramente bravi gli interpreti sul palco. Tutti i personaggi sono stati ben delineati nei rispettivi caratteri e il ritmo scenico teatrale (ottima la regia) e la capacità degli attori hanno fatto superare anche la difficoltà della “lingua” chioggiotta stretta, che al massimo ha fatto perdere qualche battuta ma non ha impedito di apprezzare lo spaccato di vita d’altri tempi che Carlo Goldoni ha così magistralmente registrato.

Gli attori che hanno inscenato le baruffe, i litigi, le risse fisiche e verbali e i rappacificamenti finali hanno dato prova di essere un cast impeccabile e affiatato. Tuttavia, un plauso maggiore spetta alle donne che hanno dimostrato una maggior aderenza ai propri personaggi e una migliore identificazione con l’ambiente popolaresco della commedia. Ricordiamo la giovanissima Eleonor Varagnolo, una Checca simpaticamente dispettosa e frivola, che si è rivelata attrice dalla bella voce squillante e gestualità sempre studiata. A seguire, la Lucietta di Giovanna Bellemo, ben delineata nel suo carattere iracondo. Buona la prova di Erika Boscolo, una Orsetta dallo spirito battagliero. Tanto convincente la Madonna Pasqua di Lucia Sambo, quanto credibile la Madonna Libera di Roberta Penzo, ruoli dagli accenti fortemente popolari esaltati dalla grande grinta, dal robusto temperamento e dalla solidità scenica delle due attrici.

Fra gli uomini a spiccare è stato l’esilarante carattere di Paron Fortunato, interpretato da un bravissimo Gianpaolo Penzo, che ha recitato in divertente grammelot chiozzotto e si è confermato una delle figure più preparate ed esperte della compagnia. Sugli scudi anche il giovane Francesco Boscolo Lisetto che ha azzeccato un Toffolo Marmottina di grande simpatia e precisione tecnica. Bravi e preparati tutti gli altri: Luciano Loffreda, un Paron Toni composto e patriarcale; il Titta Nane di Alessandro Pilat che ha saputo equilibrare rabbia e sentimento conferendo al personaggio una particolare nobiltà d’animo; il Paron Vincenzo, composto e misurato, di Walter Baldin; il Beppo di Stefano Bellemo; Giancarlo Varagnolo nel doppio ruolo di Comandador e Canocchia. A completare il cast l’importante parte del bonario Cogitore affidata all’esperienza di Lucio Rossetti che con misura e ironia ha condotto brillantemente a conclusione tutta la vicenda.

Citare un attore a scapito di un altro risulta comunque un esercizio difficile e quasi forzato: l’intera compagnia teatrale ha deliziato un pubblico sempre avvinto dalla vicenda grazie a un ritmo impeccabile e a interpretazioni molto più che persuasive. Gli scroscianti applausi finali hanno testimoniato senza alcun dubbio l’apprezzamento per il testo, la regia e la convincente interpretazione dell’intera compagine che ha dato prova di assoluta coralità e professionalità.

Nel corso dell’intervallo è risultata molto gradita la degustazione di pasta e fagioli.

Ora l’attenzione è volta al prossimo appuntamento in programma domenica 11 agosto, che avrà per protagonista la compagnia triestina L’Armonia con la commedia “Una mentina?”, da Il Metodo di Jordi Galceran, adattamento in dialetto triestino e regia di Riccardo Fortuna.