Applausi scroscianti per “Una mentina?”; la commedia della compagnia triestina de L’Armonia è piaciuta e ha convinto il folto pubblico del Chiostro degli Olivetani

Al Teatro delle Regioni una pièce che è risultata un thriller psicologico che ha puntato i riflettori sugli ambienti di lavoro e sui limiti delle moderne tecniche di selezione del personale

Domenica 11 agosto 2019 la compagnia L’Armonia di Trieste ha portato in scena la commedia “Una Mentina?”, da Il Metodo di Jordi Galceran, adattamento in dialetto triestino e regia di Riccardo Fortuna.

ROVIGO – Un posto di direttore generale in una multinazionale: se lo contendono tre uomini e una donna. Il metodo di selezione prevede un efferato gioco di prove attitudinali, dal quale soltanto uno dei candidati potrà emergere. Ognuno contro tutti. O almeno questo è quello che credono. Ciascuno inganna l’altro, subisce l’inganno e inganna se stesso. Sono i contenuti della pièce “Una mentina?”, tratta da Il Metodo dello scrittore catalano Jordi Galcerán, traduzione di Pino Tierno, regia e adattamento in dialetto triestino di Riccardo Fortuna, andata in scena domenica 11 agosto nel Chiostro degli Olivetani.

Anche il quinto appuntamento della XX stagione del Teatro delle Regioni, organizzata e promossa dal Gruppo Teatrale Il Mosaico con il sostegno del Comune di Rovigo e il contributo della Fondazione Rovigo Cultura e di RovigoBanca, ha registrato l’ennesimo successo. Diversi i presenti tra il pubblico con la curiosità di verificare le qualità artistiche ed espressive della compagnia “L’Armonia” di Trieste, tornata nel capoluogo polesano dopo la splendida prova data lo scorso anno con lo spettacolo “Stupendo!”. La caratteristica della compagnia de L’Armonia sta nel raccogliere attorno a sé attrici e attori provenienti da varie altre compagnie triestine associate, per questa occasione: Ex Allievi del Toti, Il Gabbiano e Quei de Scala Santa.

Definito da El País come il “re della commedia nera”, Jordi Galcerán, drammaturgo, sceneggiatore e traduttore catalano è noto soprattutto per Il Metodo Grönholm, divenuto anche un film di Marcelo Piñeyro, uscito nel 2005. Pur essendo un testo di fantasia, ispirato a Galcerán da un articolo uscito in Spagna nel 2003 sui criteri di selezione del personale di una catena di supermercati (alcuni candidati avevano fatto un esposto perché era stata violata la privacy e si erano sentiti offesi nella loro dignità umana), tutte le prove a cui vengono sottoposti i personaggi sono tratte da tecniche reali di selezione del personale, nello specifico si fa riferimento alle teorie dello psicologo svedese Grönholm.

I test psicologici vengono oramai usati ovunque e, sempre più spesso, vanno a toccare aspetti molto privati della vita di tutti, sessualità compresa. Quello che accade nella pièce è condurre queste tecniche alle estreme conseguenze, senza nascondere la comicità derivante dall’assurda inclemenza di tali prove. Perché, a quanto pare, non importa chi siamo né come siamo, ciò che conta è l’opinione che gli altri, spettatori della nostra vita, deducono dalla nostra apparenza. La nostra autentica identità non interessa a nessuno, a parte noi stessi.

I quattro protagonisti dell’atto unico, che rispetta unità di tempo e luogo, si muovono in uno spazio chiuso, stretto, con pochi elementi caratterizzanti. In una situazione esasperata, messi di fronte al fatto di dover assolutamente conquistare il posto di lavoro, devono sottoporsi, in questa sorta di sala riunioni, a delle prove, un gioco orchestrato letteralmente dall’alto, facendo emergere la parte animale di sé, la parte competitiva, demoniaca, che li induce a sbranare i propri concorrenti. La bontà e la cattiveria non vengono più considerati dinanzi all’obiettivo da raggiungere. I colpi di scena si susseguono continuamente, e lasciano lo spettatore attaccato alla sedia, verso un  finale inaspettato che ribalterà tutte le convinzioni acquisite fino a quel momento.

In effetti, la prova attoriale è stata eccellente. I personaggi sono stati tutti nettamente tratteggiati, in un ponderato equilibrio tra sarcasmo e ridicolo. La commedia si è dipanata con i ritmi di un thriller psicologico, particolarmente ricercati e amati dal regista Riccardo Fortuna, e ha richiesto agli attori un grande impegno recitativo. Perfetta la regia che, tenendo conto dei dialoghi serratissimi del testo, è riuscita, calibrando pause e movimenti, a mantenere quella tensione necessaria a calamitare l’attenzione degli spettatori desiderosi di scoprire l’epilogo della vicenda. Senza dubbio una bella rappresentazione, merito di un cast d’eccezione formato da ottimi interpreti, tutti e quattro credibili e perfettamente nella parte: Paolo Dalfovo, Monica Parmegiani, Roberto Tramontini e Giuliano Zobeni, equamente e calorosamente applauditi dal pubblico di domenica sera.

Lo spettacolo è risultato nel complesso scorrevole e ha consentito un vivo coinvolgimento del pubblico che si è trovato continuamente a dover valutare ciò a cui assisteva. La commedia ha avuto il grande pregio di aiutare a riflettere sul cinismo e la cattiveria di una società altamente competitiva, proponendoci continui dilemmi etici che generalmente contrappongono il lavoro e il successo all’umanità e alla comprensione. La morale, volendone trovare una, potrebbe trovarsi in una frase pronunciata nelle battute finali dal personaggio di Maura De Paolis, interpretato dalla brava Monica Parmegiani: «Noi non cerchiamo brave persone che sembrino figli di puttana, ma figli di puttana che sembrino brave persone!».