Adria: al Dantedì, il prof. Lodo traduce i difficili versi del VI canto del Paradiso, coinvolgendo ed emozionando il pubblico

Nella foto, da sinistra, Antonio Giolo, Antonio Lodo e Andrea Micheletti

Adria (RO) – La cultura da palazzo Tassoni. Dopo il saluto a nome del sindaco, l’assessore Andrea Micheletti ha ricordato come la tradizione di queste giornate dedicate a Dante sia iniziata con il prof. Livio Crepaldi e proseguita con Antonio Giolo, attuale referente della biblioteca Comunale. Micheletti ha anche affermato che l’incontro culturale si inserisce all’interno del progetto “Adria città che legge” e ha invitato le persone presenti in sala consigliare e quelle collegate in diretta streaming sul canale ufficiale del Comune, a partecipare ai futuri incontri sulla lettura, già fissati sia al Museo Archeologico Nazionale e sia nella sede del Circolo del Cinema, sita in piazza Cavour.

Antonio Giolo, presentando il relatore, ha sottolineato l’utilità dello studio di Dante anche al di là del settimo centenario della sua morte, non solo per la ricorrenza del 25 marzo del Dantedì, ma soprattutto per i contenuti delle opere scritte dal sommo poeta.

Estremamente interessante la lezione “dantesca” di Antonio Lodo, che leggendo e spiegando tutti i versetti del canto e traducendoli in un linguaggio odierno, ha reso chiari i contenuti del Canto, facendo sentire Dante come un nostro contemporaneo. Un poeta che parla a noi oggi, trattando gli eterni problemi della condizione umana e della vita sociale, pur essendo condizionato dai temi caratteristici del suo tempo.

Il Canto VI è famoso per l’incontro di Dante e Virgilio con Sordello, e soprattutto per la famosa invettiva “Ahi serva Italia”, una inventiva che non risparmia nessuno: non risparmia i signori del tempo, le città, il Papa e l’imperatore, e arriva a una punta quasi di blasfemia, quando se la prende addirittura con Dio nella seconda parte del canto. E conclude l’invettiva, con alcuni versi indirizzati alla sua Firenze, verso la quale, anche per le sue vicende biografiche, ha espressioni sarcastiche.

Il prof. Lodo è partito dalla definizione di Borges che dice: “La Divina Commedia è il più bel libro scritto dagli uomini; e ogni volta che leggiamo i diversi canti scopriamo qualcosa di nuovo, nuovi aspetti che, ad una prima lettura, ci erano sfuggiti”.

Il Canto si può dividere in tre parti. La prima sequenza è di vita quotidiana, di giocatori della “zara”, che vincono e perdono, e se vincono sono circondati da questuanti che chiedono loro di condividere la vincita. Così, dice Dante, sono le anime del Purgatorio che gli si avvicinano, in questo caso chiedendo preghiere per affrettare la remissione dei loro peccati e la salita al Paradiso. Dante pone a Virgilio il suo dubbio sulla possibilità di intercedere per le anime del Purgatorio, dato che la loro condizione deriva dalla volontà divina.

Poi c’è la sequenza dell’incontro con Sordello che offre a Dante l’occasione per esprimere l’importanza dell’amore di patria.

La terza sequenza, infine, comprende la metà del Canto, in essa Dante lamenta la condizione di abbandono in cui si trova l’Italia, non solo perché trascurata dall’imperatore, ma anche per le ingerenze del papato. Un’Italia che non è quel giardino dell’impero che lui sognava, ma è invece attraversata da lotte di fazione da nord a sud e all’interno della stessa città. Come la sua Firenze in cui si assiste a continui cambiamenti di governanti e di leggi che negli ultimi versi, viene paragonata a una donna malata che non riesce a guarire e si rigira nel letto per attenuare le sue sofferenze.