ROVIGO – Lunedì 20 maggio in Accademia dei Concordi si è svolta l’iniziativa “Si fa presto a dire mito”, promossa nell’ambito del Maggio Rodigino. L’evento ha raccontato di persone che raggiungono grande popolarità e diventano dei simboli attraverso le imprese sportive, la musica o le opere che realizzano. Parallelamente ha mostrato l’esempio di persone che con gesti come donare il sangue, donare gli organi, dare assistenza ai malati di tumore e ai loro familiari, riescono a dare vita e speranza a chi riceve i loro doni.
Spesso i volontari restano anonimi o sconosciuti al ricevente. Non fanno le imprese dei “miti” che tutti ammirano. Ma proprio perché si donano a chi ha più bisogno, le loro azioni hanno un valore che non può essere misurato. È questo il messaggio dell’evento che ha riunito i donatori di sangue e di organi delle Avis e Aido comunali di Rovigo, i volontari di Rovigo e Modena della Lega italiana per la lotta contro i tumori, la Scuderia Ferrari Club di Lendinara e Rosolina, l’Associazione Ferraristi di Lendinara e l’Istituto comprensivo Rovigo 1.
Con le associazioni di volontariato sono stati protagonisti della serata eccellenze polesane come il pittore lendinarese Enrico Ghinato, tra i massimi esponenti dell’iperrealismo applicato al settore automobilistico, l’ingegnere fiessese Antonio Tomaini, che dal 1974 ha avuto per 13 anni la responsabilità, sia in azienda sia nei campi di gara, della gestione tecnica delle vetture della Scuderia Ferrari Formula 1, e con loro il clarinettista adriese Raffaele Magosso e la violinista rodigina Camilla De Giovanni, accompagnata dal pianista Stefano Menegus.
È intervenuta anche la dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Rovigo 1 Maria Rita Pasqualin, in continuità con il progetto “3 M Macchine Musica in Moto” della professoressa Maria Braga, che nel 2018 era stato promosso nel cartellone del Maggio Rodigino insieme ad Avis e Aido comunali di Rovigo, e che lunedì sera ha portato in Accademia alcuni quadri ispirati al futurismo realizzati da allievi delle scuole medie Bonifacio in occasione di “3 M”.
In sala degli Arazzi, “Si fa presto a dire mito” ha messo in esposizione alcune opere di Enrico Ghinato, raccontate dal pittore lendinarese. E agli interventi di Maria Iside Bruschi, Francesco Chiavilli e Paola Pisani rispettivamente per Lilt, Avis e Aido Rovigo, la partecipazione dell’ingegner Antonio Tomaini ha sommato i racconti di chi ha vissuto il mondo delle corse automobilistiche per oltre 40 anni. Anni iniziati da Fiesso Umbertiano, percorrendo ogni giorno in bicicletta la distanza con Ferrara durante il periodo di studi nella città estense: «Ho calcolato d’aver superato in quegli anni i chilometri che servono a fare il giro della terra», ha detto l’ingegner Tomaini, che iniziò la carriera nei motori all’ufficio tecnico della Moretti Automobili di Torino, per passare poi alla Abarth: «Avevo lasciato il primo lavoro per divergenze tecniche. Poi un giorno, tra la corrispondenza, vidi una lettera con l’indirizzo scritto a macchina». Era una lettera dall’azienda di Carlo Abarth e l’ingegnere fiessese, in quel periodo difficile, la visse quasi come un miracolo: «La mia esperienza è anche un invito ai giovani a non perdere mai la fiducia di fronte alle difficoltà, a lavorare duramente, e a inseguire ciò in cui si crede, per trovare ciò che si ama».
Tomaini poi, come nel suo libro “Non ti guiderò mai”, i cui proventi sono interamente devoluti alla lotta ai tumori portata avanti dalla Lilt, ha raccontato la vita, prima che i successi sportivi, vissuta assieme ai tanti campioni con cui ha lavorato. Tra loro, il più amato è stato Gilles Villeneuve. E i primi furono Clay Regazzoni e Niki Lauda: con lui la Ferrari vinse due Mondiali, e proprio nella notte l’ha salutato per l’ultima volta. Il pilota austriaco – ha raccontato Tomaini – non vinceva mai con ampi margini perché non voleva far scoprire il potenziale che aveva la sua Ferrari: «Lasciava l’illusione a chi lo rincorreva che se avesse attaccato un po’ prima, se avesse forzato un po’ di più, alla gara successiva avrebbe potuto superarlo. Me lo sono sempre immaginato dietro una scrivania quando correva, non come un pilota, perché era di una lucidità incredibile».