Edilizia: il lavoro c’è, mancano i giovani

Il mondo delle costruzioni ha bisogno di addetti, ma i giovani guardano altrove. L’SOS di Marco Campion e Alessandro De Iaco di Confartigianato Polesine

ROVIGO – Il lavoro c’è, eccome, ma manca la manodopera. L’allarme è stato lanciato da Confartigianato Polesine che ha registrato, tra i suoi associati, una notevole difficoltà a trovare personale disponibile a lavorare in questo settore.

Sembra un paradosso in un periodo di crisi economica e di rallentamenti a causa di due anni di pandemia, ma la situazione è davvero drammatica per le imprese. Non bastava l’aumento dei prezzi delle materie prime o la difficoltà a reperirle, il caro energia e carburante, ora a mettere in crisi le imprese è la carenza di operai. Il settore in maggior sofferenza è quello edile.

Gli incentivi dell’Ecobonus e del Superbonus hanno invertito il trend nero degli ultimi anni, facendolo riprendere a ritmi elevati. Ora che le aziende stanno lavorando serratamente per rispettare le scadenze, rischiano di non riuscire a chiudere i cantieri per mancanza di manovalanza.

Alessandro De Iaco

«Le imprese hanno bisogno di muratori, elettricisti, impiantisti – spiega Alessandro De Iaco, associato Confartigianato e broker edile, una nuova figura professionale nata per coordinare e creare sinergie tra il privato, l’impresa e i liberi professionisti che ruotano attorno al settore – e non solo non si trovano sul mercato, ma quelli che si rendono disponibili non hanno nemmeno una adeguata formazione. I giovani, peraltro, non si avvicinano più a certi mestieri e non sono disposti a fare quella che un tempo veniva definita la gavetta».

Secondo il presidente di Confartigianato Marco Campion, il problema è legato anche al sistema “Scuola-Lavoro” che non offre agli studenti non solo un’adeguata preparazione pratica, ma anche una collocazione nel mondo del lavoro, anche perché «i tirocini o gli stage in azienda sono di difficile gestione per problemi legati alla sicurezza. Sarebbe bene rivedere i percorsi formativi».

Così ecco proliferare le aziende straniere che in Polesine superano addirittura il 30 per cento. «Trovano spazio perché la cultura di certe etnie è più legata e devota al lavoro rispetto all’italiano – afferma De Iaco – e arrivano dal loro Paese d’origine già preparati. Poi c’è da dire che in Italia con il 110 il Governo invece di semplificare e offrire un volano utile alla ripartenza, ha tenuto in ballo le imprese per mesi con continue modifiche che hanno ingessato le procedure e le pratiche, purtroppo a beneficio di alcuni furbetti».

L’artigiano quindi, o chi ha un’impresa di piccole dimensioni, ha avuto qualche difficoltà a poter garantire un progetto di fattibilità per le ristrutturazioni e ora si ritrova a dover fare i conti con prezzi alle stelle e operai risicati. «Certi lavori nessuno li vuole più fare – conclude De Iaco – e non esiste il ricambio generazionale purtroppo. Alcuni mestieri d’arte come il fabbro, il falegname o il carpentiere si rischia di perderli nonostante rappresentino l’eccellenza da cui è partito il Made in Italy».

Il presidente di Confartigianato Polesine, Marco Campion